L’epurazione etnica di
Tawarga
Quella
di Tawarga è la pagina
più nera (e meglio occultata) della cosiddetta rivoluzione libica contro Muammar Gheddafi. A distanza di
mesi continua a produrre strascichi ed a sanguinare. Un caso da manuale di
epurazione etnica, perpetrato
dalle milizie (bianche) di Misurata
contro la popolazione (nera) di Tawarga,
la cittadina di 40mila abitanti, colpevole solo di aver ospitato la 32° Brigata
di Khamis Gheddafi nei
lunghi mesi dell’assedio a quella che è stata la città-martire della
rivoluzione del 17 febbraio.
Respinti
i ripetuti attacchi dei soldati di Gheddafi, e quando ormai le forze del regime
erano in rotta, Tawarga divenne nell’agosto 2012 il bersaglio collettivo di una
spietata vendetta da parte delle milizie di Misurata che portò a svuotare
letteralmente la città di tutti i suoi abitanti, compresi donne e bambini, e
che ora – se non sono rinchiusi in prigioni - vivono in una serie di campi
profughi intorno a Tripoli e Bengazi.
Gli
abitanti di Tawarga sono libici neri, discendenti dei tanti africani arrivati
nei secoli sulla costa mediterranea attraverso la tratta transahariana degli
schiavi. Cittadini libici a tutti gli effetti, gli abitanti di Tawarga hanno
sperimentato nella Libia indipendente e poi in quella gheddafiana un destino di
subalternità sociale e culturale che si lega direttamente alle loro origini. È
particolarmente evidente il legame di dipendenza che legò la città di Tawarga
anche durante il regime di Gheddafi a quella di Misurata dove molti di Tawarga
si recavano giornalmente a lavorare occupando tutta una serie di mansioni
faticose o poco retribuite. La guerra civile libica ha ridato slancio a questa
come ad altre contrapposizioni sociali che sono il portato di una storia lunga
e complessa.
Ancora
oggi non si sa di preciso quante siano state le vittime - almeno un
migliaio fra i morti e le persone sparite, dicono i profughi – ma quello
che è certo è che si è voluto cancellare questa città dalle carte geografiche e
che i suoi abitanti superstiti sono stati costretti alla fuga,
probabilmente per sempre. A nulla però sono servite le denuncie di HRW e
di Amnesty International: le persecuzioni sono anzi continuate anche
all’interno dei campi profughi – nella più totale indifferenza delle nuove autorità
- e ancora oggi vengono segnalati uccisioni, violenze e arresti
arbitrari.
In
realtà, a Tawarga
si è solo scoperchiato il pentolone dei nuovi odi che rischiano di
avvelenare il futuro della nuova Libia. Ai tempi di Gheddafi questo odi erano
stati assorbiti e al tempo stesso disinnescati grazie al sistema di alleanze e
di prebende con cui il Colonnello esercitava il suo potere. Il resto lo
faceva il suo apparato repressivo, che spazzava via ogni dissenso.
Oggi,
invece, l’instabilità politica e lo strapotere delle milizie consentono
agli odi di attecchire, di crescere e di diventare un fattore
identitario assai potente. Emerge così una Libia divisa fra popolazioni bianche
della fascia costiera e popolazioni nere del Sud, fra cui da sempre non
corre buon sangue e che oggi possono esibire senza remore i reciproci
pregiudizi, soprattutto nelle aree dove sono costrette a convivere.
E’
quello che è successo anche nell’oasi di Kufra, fra i Tubu (neri) e gli Zwai
(bianchi), con almeno una cinquantina dimorti. Eppure, entrambi i gruppi
si sono schierati con la rivoluzione del 17 febbraio e contro il regime di
Gheddafi. Evidentemente, l’essersi sbarazzati del Colonnello non è una
condizione sufficiente per costruire una Libia nuova, veramente libera e
democratica.
Anche
nelle ultime settimane si registrano morti e feriti tra gli sfollati libici del
campo di al-Fallah, nei pressi di Tripoli. Le milizie di Misurata hanno
circondato il complesso, entrandovi più volte con le armi in pugno. Al-Fallah
Camp, come altri insediamenti simili intorno alla capitale libica, sono stati
occupati dall’agosto 2012 dagli abitanti sfollati di Tawarga.
Difficile
dire quanto vi sia di vero nelle innumerevoli accuse che i vertici politici
delle milizie di Misurata hanno indirizzato indiscriminatamente agli abitanti
di Tawarga: come mostrano video e testimonianze varie vi sono stati episodi di
violenza contro civili di Misurata che furono commessi dalle truppe
gheddaffiane provenienti dal Fezzan o addirittura da fuori dei confini libici che
per il colore nero della pelle possono essere facilmente accomunati agli
abitanti di Tawarga.
Si
dice che alcuni degli abitanti di Tawarga commisero dei crimini, come molti
altri libici durante la guerra; più difficile poter pensare che un’intera città
possa essere ritenuta colpevole. Sta di fatto che per le colpe di alcuni,
stanno pagando tutti gli oltre 40 mila abitanti di Tawarga, comprese donne e
bambini.
Il
Consiglio nazionale di transizione prima, e il governo libico poi, hanno
intavolato una complicata trattativa con i vertici politici delle milizie di
Misurata per discutere il reinsediamento di questi libici neri nella loro città
d’origine, ma per il forte ascendete che Misurata esercita sulle nuove
istituzioni libiche tutto si è risolto in un nulla di fatto.
È
chiaro come in un momento come quello attuale, dove le autorità governative
stanno cercando di sottrarre il controllo della capitale alle diverse milizie,
prendersela con gli sfollati di Tawarga non rappresenta un obiettivo politico
in sé, ma finisce per essere una deriva particolarmente ignominiosa di una più
generale logica nella quale Msrata non è disposta a nessuna concessione in
favore delle autorità centrali e di una vera riconciliazione nazionale,
questione di Tawarga compresa.
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