venerdì 29 novembre 2013


L’epurazione etnica di Tawarga

Quella di Tawarga è la pagina più nera (e meglio occultata) della cosiddetta rivoluzione libica contro Muammar Gheddafi.  A distanza di  mesi continua a produrre strascichi ed a sanguinare. Un caso da manuale di epurazione etnica, perpetrato dalle milizie (bianche) di Misurata contro la popolazione (nera) di Tawarga, la cittadina di 40mila abitanti, colpevole solo di aver ospitato la 32° Brigata di Khamis Gheddafi nei lunghi mesi dell’assedio a quella che è stata la città-martire della rivoluzione del 17 febbraio.

Respinti i ripetuti attacchi dei soldati di Gheddafi, e quando ormai le forze del regime erano in rotta, Tawarga divenne nell’agosto 2012 il bersaglio collettivo di una spietata vendetta da parte delle milizie di Misurata che portò a svuotare letteralmente la città di tutti i suoi abitanti, compresi donne e bambini, e che ora – se non sono rinchiusi in prigioni - vivono in una serie di campi profughi intorno a Tripoli e Bengazi.

Gli abitanti di Tawarga sono libici neri, discendenti dei tanti africani arrivati nei secoli sulla costa mediterranea attraverso la tratta transahariana degli schiavi. Cittadini libici a tutti gli effetti, gli abitanti di Tawarga hanno sperimentato nella Libia indipendente e poi in quella gheddafiana un destino di subalternità sociale e culturale che si lega direttamente alle loro origini. È particolarmente evidente il legame di dipendenza che legò la città di Tawarga anche durante il regime di Gheddafi a quella di Misurata dove molti di Tawarga si recavano giornalmente a lavorare occupando tutta una serie di mansioni faticose o poco retribuite. La guerra civile libica ha ridato slancio a questa come ad altre contrapposizioni sociali che sono il portato di una storia lunga e complessa.

Ancora oggi non si sa di preciso quante siano state le vittime - almeno un migliaio fra i morti e le persone sparite, dicono i profughi – ma quello che è certo è che si è voluto cancellare questa città dalle carte geografiche e che i suoi abitanti superstiti sono stati costretti alla fuga, probabilmente per sempre. A nulla però sono servite le denuncie di HRW e di Amnesty International: le persecuzioni sono anzi continuate anche all’interno dei campi profughi – nella più totale indifferenza delle nuove autorità - e ancora oggi vengono segnalati uccisioni, violenze e arresti arbitrari. 

In realtà, a Tawarga si è solo scoperchiato il pentolone dei nuovi odi che rischiano di avvelenare il futuro della nuova Libia. Ai tempi di Gheddafi questo odi erano stati assorbiti e al tempo stesso disinnescati grazie al sistema di alleanze e di prebende con cui il Colonnello esercitava il suo potere. Il resto lo faceva il suo apparato repressivo, che spazzava via ogni dissenso.

Oggi, invece, l’instabilità politica e lo strapotere delle milizie consentono agli odi di attecchire, di crescere  e di diventare un fattore identitario assai potente. Emerge così una Libia divisa fra popolazioni bianche della fascia costiera e popolazioni nere del Sud, fra cui da sempre non corre buon sangue e che oggi possono esibire senza remore i reciproci pregiudizi, soprattutto nelle aree dove sono costrette a convivere.

E’ quello che è successo anche nell’oasi di Kufra, fra i Tubu (neri) e gli Zwai (bianchi), con almeno una cinquantina dimorti. Eppure, entrambi i gruppi si sono schierati con la rivoluzione del 17 febbraio e contro il regime di Gheddafi. Evidentemente, l’essersi sbarazzati del Colonnello non è una condizione sufficiente per costruire una Libia nuova, veramente libera e democratica.

Anche nelle ultime settimane si registrano morti e feriti tra gli sfollati libici del campo di al-Fallah, nei pressi di Tripoli. Le milizie di Misurata hanno circondato il complesso, entrandovi più volte con le armi in pugno. Al-Fallah Camp, come altri insediamenti simili intorno alla capitale libica, sono stati occupati dall’agosto 2012 dagli abitanti sfollati di Tawarga.

Difficile dire quanto vi sia di vero nelle innumerevoli accuse che i vertici politici delle milizie di Misurata hanno indirizzato indiscriminatamente agli abitanti di Tawarga: come mostrano video e testimonianze varie vi sono stati episodi di violenza contro civili di Misurata che furono commessi dalle truppe gheddaffiane provenienti dal Fezzan o addirittura da fuori dei confini libici che per il colore nero della pelle possono essere facilmente accomunati agli abitanti di Tawarga.

Si dice che alcuni degli abitanti di Tawarga commisero dei crimini, come molti altri libici durante la guerra; più difficile poter pensare che un’intera città possa essere ritenuta colpevole. Sta di fatto che per le colpe di alcuni, stanno pagando tutti gli oltre 40 mila abitanti di Tawarga, comprese donne e bambini.

Il Consiglio nazionale di transizione prima, e il governo libico poi, hanno intavolato una complicata trattativa con i vertici politici delle milizie di Misurata per discutere il reinsediamento di questi libici neri nella loro città d’origine, ma per il forte ascendete che Misurata esercita sulle nuove istituzioni libiche tutto si è risolto in un nulla di fatto.

È chiaro come in un momento come quello attuale, dove le autorità governative stanno cercando di sottrarre il controllo della capitale alle diverse milizie, prendersela con gli sfollati di Tawarga non rappresenta un obiettivo politico in sé, ma finisce per essere una deriva particolarmente ignominiosa di una più generale logica nella quale Msrata non è disposta a nessuna concessione in favore delle autorità centrali e di una vera riconciliazione nazionale, questione di Tawarga compresa.

In totale, sono 65.000 gli sfollati interni della Libia. Oltre ai tawarga, l'elenco comprende membri della tribù mashashya delle montagne di Nafusa, abitanti di Sirte e Bani Walid e tuareg di Ghadames. Ma i tawarga, libici neri, sono tra coloro che hanno patito le peggiori sofferenze.

 

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