venerdì 30 gennaio 2015

Germany to provide more weapons and training to the Kurds


In February, the Kurdish Peshmerga forces will receive more Milan-rockets, the German Defence Minister has announced today. Moreover, the German parliament in an outright majority voted to send trainers to Iraqi Kurdistan. This despite of opposition of leftwing parties who claim the mission is unconstitutional.

German Defence Minister Ursula von der Leyen has announced in a television interview, that Germany will provide more heavy weapons and ammunition to the Kurds. Earlier the Kurds have asked the international community to provide more weapons.

According to the Defence Minister the struggle of the Kurds is also in the Germany’s interest.
Frank-Walter Steinmeier from the ruling Social Democratic Party (SPD), the mission will not be a ‘combat mission, it’s about education’.

Moreover, the German parliament has approved a mission of 100 trainers to go to Kurdistan to support the Peshmerga forces. 457 of the 590 MPs voted yes, there were only 79 votes against, and 54 abstentions.

This despite of opposition from the Left Party and the Green party that argue the mission is unconstitutional. According to Germany’s constitution the military can only be deployed in a collective mission under a UN Security Council mandate, NATO, or the EU flag. But the government does not expect any legal action.

Defence Minister von der Leyen says they want to create a new list for further assistance to the Kurds, since the “Peshmerga basically lack everything,” said the politician. The Peshmerga forces especially need ammunition for assault rifles and Milan rockets.

Source: BasNews
Mentre i conflitti in Siria, Iraq, ed Ucraina, continuano a fasi alterne ad essere coperti dai media occidentali, circa 30 altri conflitti ricevono poca o nessuna copertura dalla stampa internazionale, con la mancanza di attenzione della comunità internazionale che, secondo gli esperti, potrebbe avere gravi conseguenze per milioni di persone. Le guerre civili nella regione del Darfur occidentale e del Sudan sono infatti quasi scomparsi dai media, nonostante solo in Darfur esista la presenza di almeno 2,4 milioni di profughi. Anche il Sud Sudan, alle prese con una crisi socio.politica senza precendenti, ha urgente bisogno di attenzione, come riferito da Jean-Marie Guehenno, presidente del think tank con sede a Bruxelles “International Crisis Group“, che attualmente traccia l’andamento di più di 30 conflitti a livello globale.
L’anno scorso,il Sud Sudan era classificato al fianco di Afghanistan e Siria, come i tre paesi più pericolosi al mondo, in un indice annuale compilato dall’Istituto per l’Economia e la Pace. “La violenza orribile che si consuma in Sud Sudan è strettamente correlata alla mancanza di pressione da parte dell’opinione pubblica mondiale“, ha dichiarato Guehenno alla Reuters Foundation Thomson.
Anche la Nigeria è un paese dove si sottostimano sistematicamente i conflitti interni anche se “potenzialmente molto gravi“. E se gli attacchi da parte dei militanti islamici do Boko Haram hanno ottenuto qualche copertura dai media occidentali, altri focolai di tensioni nel paese non interessano. Se l’attuale Presidente nigeriano Goodluck Jonathan perdesse le elezioni nel mese di febbraio, le tensioni nella ricca regione di petrolio del Delta del Niger potrebbero divampare. “Ma questo non interessa” ha dichiarato Guehenno. “Se si arrivasse alla violenza nel periodo successivo alle elezioni, poi improvvisamente questa notizia dalla Nigeria sarà la più importante per Africa. Ma sarebbe meglio se questi problemi venissero affrontati oggi piuttosto che domani” ha aggiunto.
Il numero dei conflitti nel mondo è stato relativamente stabile negli ultimi dieci anni, in un range compreso tra 31 e 37, con il numero di rifugiati in fuga dai combattimenti che nel 2014 è salito al suo livello più alto dal 1996. I conflitti che interessano ai grandi media mainstream mondiali tuttavia sembrano rimanere limitati.
I combattimenti nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo hanno causato lo sfollamento di almeno 770 mila persone nel 2014, portando il numero totale degli sfollati a circa 2,7 milioni, in un paese di 68 milioni di persone. Nessuna notizia. I conflitti in corso in Somalia, Yemen, Libia, Repubblica Centrafricana, Pakistan, Afghanistan hanno invece sempre meno attenzione dei giornalisti e analisti internazionali dopo la partenza di molte truppe straniere.Perchè?
I ricercatori dicono che non è necessariamente la dimensione del conflitto ad attirare l’attenzione dei media. A questo proposito, Virgil Hawkins, professore associato di relazioni internazionali presso l’Università di Osaka in Giappone, cita il conflitto israelo-palestinese perchè “riceve notevole attenzione dei media, anche se il bilancio delle vittime è piccolo rispetto al Congo“. Hawkins ha inoltre confrontato la copertura mediatica determinata dall’attacco islamista contro la rivista satirica Charlie Hebdo a Parigi con il relativo silenzio su una serie di omicidi di massa di Boko Haram in Nigeria avvenuto durante lo stesso arco temporale. “Le vere ragioni delle differenze nella copertura sono meno legate alle atrocità in sè, mentre e più correlata a dove, e contro chi, le atrocità sono perpetrate“, ha scritto.
Ci sono molti piccoli conflitti a lenta combustione in paesi come l’India, la Thailandia, la Russia, la Turchia, Myanmar e l’Etiopia, ma non dovrebbero essere ignorati, ha detto il ricercatore. Conflitti su piccola scala spesso diventano quelli principali, perché questi si collegano a un problema più ampio, ha poi aggiunto.
Per anni nessuno prestò molta attenzione ai piccoli conflitti nel nord del Mali, fino a quando si creò l’occasione per i gruppi jihadisti di formare un movimento transnazionale. “Poi, Improvvisamente diventano una questione strategica”, ha detto Guehenno.
- See more at: http://www.osservatoriomashrek.com/2015-le-guerre-invisibili/#sthash.XKbZ7T0O.dpuf
Mentre i conflitti in Siria, Iraq, ed Ucraina, continuano a fasi alterne ad essere coperti dai media occidentali, circa 30 altri conflitti ricevono poca o nessuna copertura dalla stampa internazionale, con la mancanza di attenzione della comunità internazionale che, secondo gli esperti, potrebbe avere gravi conseguenze per milioni di persone. Le guerre civili nella regione del Darfur occidentale e del Sudan sono infatti quasi scomparsi dai media, nonostante solo in Darfur esista la presenza di almeno 2,4 milioni di profughi. Anche il Sud Sudan, alle prese con una crisi socio.politica senza precendenti, ha urgente bisogno di attenzione, come riferito da Jean-Marie Guehenno, presidente del think tank con sede a Bruxelles “International Crisis Group“, che attualmente traccia l’andamento di più di 30 conflitti a livello globale.
L’anno scorso,il Sud Sudan era classificato al fianco di Afghanistan e Siria, come i tre paesi più pericolosi al mondo, in un indice annuale compilato dall’Istituto per l’Economia e la Pace. “La violenza orribile che si consuma in Sud Sudan è strettamente correlata alla mancanza di pressione da parte dell’opinione pubblica mondiale“, ha dichiarato Guehenno alla Reuters Foundation Thomson.
Anche la Nigeria è un paese dove si sottostimano sistematicamente i conflitti interni anche se “potenzialmente molto gravi“. E se gli attacchi da parte dei militanti islamici do Boko Haram hanno ottenuto qualche copertura dai media occidentali, altri focolai di tensioni nel paese non interessano. Se l’attuale Presidente nigeriano Goodluck Jonathan perdesse le elezioni nel mese di febbraio, le tensioni nella ricca regione di petrolio del Delta del Niger potrebbero divampare. “Ma questo non interessa” ha dichiarato Guehenno. “Se si arrivasse alla violenza nel periodo successivo alle elezioni, poi improvvisamente questa notizia dalla Nigeria sarà la più importante per Africa. Ma sarebbe meglio se questi problemi venissero affrontati oggi piuttosto che domani” ha aggiunto.
Il numero dei conflitti nel mondo è stato relativamente stabile negli ultimi dieci anni, in un range compreso tra 31 e 37, con il numero di rifugiati in fuga dai combattimenti che nel 2014 è salito al suo livello più alto dal 1996. I conflitti che interessano ai grandi media mainstream mondiali tuttavia sembrano rimanere limitati.
I combattimenti nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo hanno causato lo sfollamento di almeno 770 mila persone nel 2014, portando il numero totale degli sfollati a circa 2,7 milioni, in un paese di 68 milioni di persone. Nessuna notizia. I conflitti in corso in Somalia, Yemen, Libia, Repubblica Centrafricana, Pakistan, Afghanistan hanno invece sempre meno attenzione dei giornalisti e analisti internazionali dopo la partenza di molte truppe straniere.Perchè?
I ricercatori dicono che non è necessariamente la dimensione del conflitto ad attirare l’attenzione dei media. A questo proposito, Virgil Hawkins, professore associato di relazioni internazionali presso l’Università di Osaka in Giappone, cita il conflitto israelo-palestinese perchè “riceve notevole attenzione dei media, anche se il bilancio delle vittime è piccolo rispetto al Congo“. Hawkins ha inoltre confrontato la copertura mediatica determinata dall’attacco islamista contro la rivista satirica Charlie Hebdo a Parigi con il relativo silenzio su una serie di omicidi di massa di Boko Haram in Nigeria avvenuto durante lo stesso arco temporale. “Le vere ragioni delle differenze nella copertura sono meno legate alle atrocità in sè, mentre e più correlata a dove, e contro chi, le atrocità sono perpetrate“, ha scritto.
Ci sono molti piccoli conflitti a lenta combustione in paesi come l’India, la Thailandia, la Russia, la Turchia, Myanmar e l’Etiopia, ma non dovrebbero essere ignorati, ha detto il ricercatore. Conflitti su piccola scala spesso diventano quelli principali, perché questi si collegano a un problema più ampio, ha poi aggiunto.
Per anni nessuno prestò molta attenzione ai piccoli conflitti nel nord del Mali, fino a quando si creò l’occasione per i gruppi jihadisti di formare un movimento transnazionale. “Poi, Improvvisamente diventano una questione strategica”, ha detto Guehenno.
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