giovedì 28 agosto 2014

Attentatori islamici in Italia: gli esordi

A inizio Duemila, molti paesi europei cominciarono a notare la
presenza di network autoctoni. Cellule con tali caratteristiche furono
coinvolte in vari attacchi sventati o compiuti, per esempio l’assassinio
di Theo van Gogh nel 2004, ma ancor più nel caso degli attentati di
Londra l’anno successivo. Altri nuclei ancora raggiunsero il Pakistan
o l’Iraq per addestrarsi o combattere. 

Il fenomeno all’epoca non toccò l’Italia, dove praticamente tutte le attività 
jihadiste erano ancora di natura “tradizionale”. 

Tuttavia in quegli anni nel nostro paese avvennero episodi che, con 
il senno di poi, possono essere considerati precursori
di dinamiche che si sarebbero manifestate solo anni dopo in altri paesi
europei. In quei primi anni del Duemila, infatti, l’Italia fu testimone di
alcuni attacchi perpetrati da cosiddetti "lone actor" che possedevano molte
delle caratteristiche delle azioni poi viste in giro per l’Europa negli ultimi
anni.

Il primo sintomo di questo fenomeno si ebbe in Sicilia nei mesi
immediatamente successivi agli attentati dell’11 settembre. Nella notte
del 5 novembre 2001 una bombola di gas da campeggio esplose sui
gradini del Tempio della Concordia, la più maestosa e meglio conservata
delle strutture della Valle dei Templi di Agrigento, causando lievi danni.
Vicino al luogo della deflagrazione le autorità trovarono un lenzuolo con
scritte inneggianti all’islam e contro l’attacco americano all’Afghanistan.
Un altro lenzuolo simile venne rinvenuto anche la notte del 14 febbraio
2002 nei pressi di una macchina rubata che aveva preso fuoco di fronte
al carcere di Agrigento. La macchina conteneva una tanica piena di
benzina che non prese fuoco per l’immediato intervento dei pompieri.
Un episodio pressoché analogo ebbe luogo due settimane dopo, quando
i pompieri impedirono l’esplosione di una bombola di gas da campeggio
da 5 chili piazzata davanti al Palazzo di Giustizia e a una chiesa evangelica
nel capoluogo siciliano.

L’11 maggio 2002 un caso analogo si registrò a 1.500 chilometri a nord
di Agrigento, a Milano. Verso le 10 di sera una bombola di gas nascosta
in uno zaino esplose in un sottopassaggio della stazione Duomo della
metropolitana milanese, la più affollata della linea, causando alcune lievi
intossicazioni tra gli agenti sopraggiunti. Nei pressi le autorità trovarono
un lenzuolo con scritte quasi identiche a quelli rinvenute ad Agrigento:
«Noi combattiamo per la causa, non ci fermeremo più fino a quando non
vi sottometterete ad adorare un solo Dio. Allah è grande». Nel luglio del
2002, dopo una lunga investigazione, le autorità scoprirono che dietro
gli attentati vi era Domenico Quaranta, un imbianchino ventinovenne
siciliano con problemi psichici che era stato introdotto all’islam più
fondamentalista dai compagni di cella nel carcere di Trapani, dove era
stato detenuto per crimini comuni. Una volta in libertà, Quaranta decise
di agire da solo con quella che riteneva una difesa del proprio credo.

Altri due casi di "lone actor" e con caratteristiche quasi identiche tra loro
avvennero nel nord Italia negli anni seguenti alla vicenda Quaranta. Il
primo ebbe luogo a Modena nel dicembre 2003, quando un trentatreenne
di origini palestinesi, Muhannad al-Khatib, riempì la sua Peugeot 205 con
due taniche di benzina e una bombola di Gpl e la parcheggiò di fronte
alla sinagoga nel centro del capoluogo emiliano. Al-Khatib dapprima
cercò di dar fuoco alla macchina dall’esterno, poi, non essendovi riuscito
ed essendo sopraggiunta una volante della polizia, entrò in macchina e
si fece esplodere, morendo, ma non causando altri feriti o danni. Al-
Khatib era sconosciuto alle autorità e non risulta avesse idee o legami
estremisti. I suoi conoscenti di allora lo descrivono come cronicamente
depresso e dicono avesse espresso il desiderio di uccidersi.

Un episodio molto simile avvenne a Brescia la sera del 28 marzo 2004,
quando un trentaseienne marocchino, Moustafa Chaouki, parcheggiò la
sua Fiat Tempra nella corsia “drive through” di un McDonald’s della
città lombarda e la fece esplodere. Come a Modena, l’esplosione uccise
l’attentatore ma non causò altri feriti o ingenti danni. Due giorni dopo
l’esplosione la questura di Brescia ricevette una lettera scritta da Chaouki
in cui il marocchino rivendicava l’atto, indicava che nessuno lo aveva
aiutato e che aveva compiuto il gesto per vendicare le sofferenze delle
popolazioni arabe, in particolare in Palestina e in Iraq.
 
Come al-Khatib, Chaouki era sconosciuto alle autorità antiterrorismo.
Aveva vissuto in Italia sin dal 1989, lavorando come manovale e autista
nel bresciano e nel bergamasco, non aveva precedenti penali e i suoi
padroni di casa e datori di lavoro lo descrivono come un soggetto
irreprensibile. La separazione dalla moglie nel 2002 lo portò a chiudersi
in se stesso, limitando i contatti con i suoi fratelli che vivevano in zona
e andando a vivere da solo in un camper. Poche settimane prima di
uccidersi aveva perso il lavoro e aveva detto ai fratelli che si sentiva un
fallimento nella vita privata e in quella professionale. Nei primi mesi
del 2003 Chaouki aveva contattato un’organizzazione di Brescia che
fornisce supporto psicologico contro la depressione e si era incontrato
in varie occasioni con una loro esperta. Dopo l’incidente al McDonald’s
la donna disse agli inquirenti che Chaouki non aveva mai espresso astio
contro l’Italia e che non aveva dato segnali né di forti passioni politiche
o religiose né di tendenze suicide.

I tre episodi hanno molti elementi in comune. I soggetti hanno agito
come prototipi di "lone actor", non coinvolgendo nessuno in alcuna fase del
loro piano, e pare che nessuno sapesse dell’intenzione di ciascuno dei
singoli attentatori di compiere quel gesto. I soggetti non appartenevano
nemmeno marginalmente ad alcun nucleo militante e, nel caso di al-
Khatib e Chaouki, non era nota alcuna loro simpatia fondamentalista. La
quasi inevitabile conseguenza di tale autonomia operativa è la rozzezza
degli ordigni utilizzati dai tre.
 
D’altra parte, è più che legittimo dubitare se sia appropriato identificare
i tre episodi, in particolare quelli di Modena e Brescia, come terrorismo
vero e proprio. È vero che il modus operandi, gli obiettivi (una sinagoga, un
McDonald’s) e, nel caso di Chaouki, la lettera rivendicante la responsabilità
con chiari riferimenti a istanze geo-politiche, costituiscono elementi forti
di una natura perlomeno parzialmente politico-religiosa degli atti. Al
tempo stesso, però, le condizioni psicologiche d’instabilità mentale o forte
depressione dei soggetti non possono essere ignorate e, anzi, potrebbero
essere legittimamente considerate come le ragioni principali dei gesti.

È ovviamente molto difficile capire queste dinamiche a posteriori, ma
è possibile che al-Khatib e Chaouki abbiano voluto mascherare la loro
intenzione di commettere suicidio – un atto considerato riprovevole,
oltreché un peccato gravissimo nella loro cultura – per motivi personali
con la scelta di modalità che avrebbe potuto rendere il loro un gesto
eroico agli occhi di parte della loro comunità.

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