martedì 16 settembre 2014

Il viaggio verso il martirio ed i reclutatori per la Jihad in Italia


 Tra coloro che interagiscono con le frange più
radicali della scena salafita solo una piccola frazione è intenzionata a
compiere il passaggio al radicalismo violento. Molti di coloro che
appartengono a questa scena si limiteranno a celebrare le gesta di gruppi
jihadisti ma, per ragioni personali o ideologiche, non diverranno mai
attivi dal punto di vista operativo. In sostanza, solo una minoranza,
statisticamente insignificante, di quella che è una realtà molto piccola
diventerà violenta.

Ciò che spinge un soggetto a cominciare un cammino che lo porta
alla violenza è una traiettoria personale determinata dalla complessa
interazione di fattori psicologici, ideologici e circostanziali che sono
specifici di ogni caso. Una simile combinazione influenza anche le
decisioni prese da un soggetto una volta che ha deciso di utilizzare la
violenza. Viaggerà all’estero per unirsi a gruppi jihadisti? Se sì, dove?
O rimarrà nel proprio paese per compiervi attacchi? In tal caso, contro
quali obbiettivi? E lo farà da solo o con l’aiuto di altri soggetti?

Un insieme di fattori determina queste dinamiche. Alcuni sono
psicologici, determinati da preferenze personali. Elementi teologici sono
altresì importanti. Certi soggetti possono considerare giusto combattere
in conflitti aperti (Siria o Somalia), in quanto jihad legittimi, ma al
tempo stesso ritenere islamicamente scorretti gli attacchi contro civili
in Occidente. Per altri questa distinzione non ha alcun senso. Infine il
ruolo di fattori contingenti e del puro caso non possono essere scartati.
Molto spesso aspiranti jihadisti scelgono una determinata traiettoria
semplicemente perché hanno avuto un incontro puramente casuale che
li ha indirizzati in quella direzione. L’esperienza di altri paesi mostra, per
esempio, che è assai frequente che aspiranti jihadisti cambino la propria
destinazione per combattere il jihad da un paese all’altro semplicemente
perché hanno incontrato un facilitatore che ha contatti nel secondo
paese. Allo stesso modo non è raro che jihadisti europei che avevano
raggiunto la loro destinazione per combattere siano stati rimandati in
Europa per compiere attentati.

Al momento attuale esistono solo tre casi noti al pubblico di jihadisti
italiani autocotoni che hanno compiuto o hanno cercato di compiere
azioni violente, quindi non ha senso parlare di trend. Tuttavia, in base
a quanto si può ricostruire, Jarmoune pare essere il proverbiale lone
actor. Sebbene interagisse con centinaia di persone sul web, non sembra
che avesse seriamente cercato di sviluppare questi contatti in maniera
operativa. Non pare fosse interessato a viaggiare per combattere il
jihad ma, secondo gli inquirenti, aveva preso in considerazione l’idea di
compiere un attacco contro la comunità ebraica di Milano. Non ci sono
indicazioni che per sviluppare questo piano (che, se esistito, era di certo
alle fasi preliminari) Jarmoune cercasse la cooperazione di altri soggetti.
El-Abboubi e Delnevo paiono aver avuto priorità diverse. Entrambi
desideravano disperatamente viaggiare all’estero per combattere e
cercarono di utilizzare ogni contatto per farlo. Come molti aspiranti
jihadisti, nessuno dei due era particolarmente focalizzato su un paese
in particolare. Al contrario entrambi cercavano di raggiungere qualsiasi
posto dove, secondo la loro mentalità, si stesse combattendo un jihad.

Delnevo cercò dapprima di andare in Afghanistan ed el-Abboubi sembrò
a un certo punto affascinato dal Mali. Ma verso l’estate del 2012 tutti
e due erano focalizzati sulla Siria, che era divenuta (ed è ancor di più
oggi) la meta più desiderata da aspiranti jihadisti, per motivi ideologici
e logistici.

L’analisi dei casi el-Abboubi e Delnevo porta spontaneamente ad
alcune domande che possono essere estese a tutti gli aspiranti jihadisti
che cercano di partire dall’Italia. Come fa un giovane residente nella
provincia di Brescia o di Genova a unirsi a gruppi terroristici operanti
in zone dove non ha alcun legame? Vi si reca da solo nella speranza di
essere accettato? Oppure ci sono elementi, in Italia o in altri luoghi, che
facilitano questo contatto tra lui e l’organizzazione terrorista?

Dare una risposta esaustiva a queste domande è un compito
estremamente complicato e troppo ambizioso, dato
anche che le dinamiche dei casi el-Abboubi e Delnevo non sono totalmente
chiare, non solo all’autore ma anche, per un certo verso, agli inquirenti.

L’unica cosa che potrebbe essere utile è fare delle supposizioni supportate
dai trend visti negli altri paesi europei e dalle poche informazioni note
sui casi italiani. Basandosi su queste fonti inevitabilmente limitate e
semplificando notevolmente le dinamiche molto complesse, si può dire
che i percorsi che portano un aspirante jihadista alla militanza (qui
intesa come unirsi a gruppi jihadisti all’estero) sono tre: viaggio solitario,
viaggio facilitato e reclutamento.

Il primo avviene quando un soggetto, indipendentemente da come
si sia radicalizzato, non si avvale dell’aiuto di nessuno per entrare in
contatto con al-Qaeda o gruppi affiliati fuori dall’Italia. L’aspirante
jihadista in questo caso lascerebbe il paese senza aver ricevuto alcun tipo
di facilitazione logistica da parte di complici e stabilirebbe il contatto
con il gruppo jihdista a cui cerca di unirsi senza che nessuno lo presenti
o raccomandi. Si sono visti casi di soggetti che sono riusciti a unirsi
a gruppi jihadisti attivi all’estero semplicemente presentandosi in loco.
All’apice della violenza durante la guerra in Iraq, per esempio, non era
raro per gli aspiranti jihadisti recarsi in Siria e, una volta lì, cercare i
contatti giusti per entrare in Iraq chiedendo a sconosciuti incontrati
in moschea. Se alcuni fallirono, molti in questo modo riuscirono ad
aggregarsi a gruppi jihadisti operanti in Iraq.

Più di recente si hanno riscontri che il conflitto siriano stia offrendo
grosse opportunità anche per soggetti senza preesistenti legami. Data la
loro massiccia presenza e il tipo di conflitto che vanno a raggiungere,
la presenza dei volontari stranieri in Siria ricorda più quella dei loro
predecessori che combatterono contro l’Unione Sovietica in Afghanistan
negli anni Ottanta che quella dei militanti che si sono uniti a vari gruppi
qaedisti in Pakistan, Somalia o Yemen negli ultimi dieci anni. I vari
gruppi jihadisti operanti nel teatro siriano hanno adottato procedure per
evitare di essere infiltrati, ma pare che sia relativamente facile unirsi a
loro anche per soggetti senza alcun precedente collegamento.

Tuttavia la maggior parte degli esperti di terrorismo considera il
viaggio solitario un’eccezione. Nella maggior parte dei casi, aspiranti
jihadisti europei riescono a unirsi a gruppi jihadisti al di fuori del
continente perché qualcuno ha facilitato questo processo. Tali gruppi,
infatti, tendono a selezionare scrupolosamente i potenziali nuovi
membri per paura di infiltrazioni e sono piuttosto restii ad aprirsi a
soggetti di cui non possono verificare il background. Le eccezioni sono
sempre possibili e, come detto, le dinamiche degli ultimi mesi in Siria
sono diverse, indicando una maggiore apertura di almeno alcune delle
formazioni jihadiste che vi operano. Ma tra gli esperti c’è chi conviene
che solo tramite un facilitatore, una persona di fiducia che può garantire
per l’aspirante jihadista, quest’ultimo può vincere la diffidenza dei gruppi
jihadisti e unirsi a loro.

I facilitatori sono individui che possiedono i contatti giusti con
uno o più gruppi jihadisti e possono perciò garantire per gli aspiranti
jihadisti europei. Spesso sono militanti di lunga esperienza che hanno
combattuto in vari conflitti e stabilito solidi contatti con network sparsi
per il mondo. Carismatici e spesso più anziani, non “reclutano” nel senso
tradizionale del termine ma mettono in contatto i candidati europei con
i gruppi all’estero. Le modalità con cui i facilitatori entrano in contatto
con individui e nuclei, che in seguito connettono a gruppi jihadisti, sono
svariati. L’incontro può avvenire per caso in moschea, in palestra, in
un internet café o in un ristorante kebab. Anche i vincoli sociali e di
famiglia sono molto importanti, perché rinforzano il rapporto di fiducia.

I facilitatori, come detto, non vanno in giro a reclutare nuovi militanti.
Piuttosto è più corretto parlare di “scenari di opportunità.” A meno
che non optino per il viaggio solitario, gli aspiranti jihadisti europei
sono in genere alla ricerca dell’aggancio giusto per recarsi all’estero per
unirsi a un gruppo jihadista. Spesso lo cercano su internet, chiedendo
e ricercando informazioni su chat room e forum. Ma la miglior ricerca
è fatta di persona, in moschee, con una nota presenza radicale al loro
interno, chiedendo a persone fidate o anche conoscenti occasionali dai
noti trascorsi militanti.

Il grado di coinvolgimento del facilitatore può variare. Alcuni possono
limitarsi a dare consigli su come entrare nel paese o in quali posti recarsi
per cercare di “agganciare” soggetti con legami con gruppi jihadisti. Ma
i facilitatori possono assumere un ruolo molto più attivo, in particolare
se hanno fiducia dell’aspirante jihadista. In tal caso possono fornirgli
un numero di telefono del contatto giusto nel paese di destinazione,
oppure una vera e propria lettera di raccomandazione da esibire alla
persona giusta, oppure ancora organizzare direttamente un meeting
per il soggetto con un membro del gruppo. In certi casi i facilitatori
forniscono anche visti, documenti, biglietti aerei e soldi, rendendo il loro
intervento simile a un vero e proprio reclutamento.

Al momento della pubblicazione di questo studio, ci sono solo
informazioni limitate su come el-Abboubi e Delnevo abbiano raggiunto
la Siria. Per quanto riguarda Delnevo, i suoi due viaggi in Siria sembrano
confermare la tesi che un facilitatore sia necessario. Quando si recò la prima
volta in Turchia nell’estate del 2012, il convertito genovese non sembra
avesse alcun contatto che potesse aiutarlo nel suo desiderio di varcare il
confine siriano e infatti la sua avventura terminò ingloriosamente con
un volo per l’Italia. Ma nei mesi seguenti pare che Delnevo sia riuscito
a trovare l’aggancio giusto e nel suo viaggio successivo raggiunse il
suo scopo, varcando il confine e, cosa più importante, unendosi a
un’importante formazione jihadista. Gli inquirenti stanno ancora
cercando di ricostruire nel dettaglio come Delnevo abbia fatto ciò e vi
è consenso sul fatto che vi sia riuscito solo grazie a una connessione
preesistente.

Informazioni preliminari e finora non rivelate al pubblico sembrano
indicare che anche il viaggio di el-Abboubi sia stato reso possibile da
alcuni facilitatori. Pare, infatti, che, poco dopo essere stato rilasciato
dal tribunale del riesame di Brescia, el-Abboubi entrò in contatto con
un network jihadista albanese con propaggini in Italia. Nonostante il
fallimento del suo viaggio in Albania per incontrarne i leader, el-Abboubi
riuscì a guadagnarsi la fiducia del network. Nell’arco di poche settimane
il network albanese apparentemente pagò il viaggio in Siria (via Turchia)
di el-Abboubi e, cosa ancor più importante, ne certificò le credenziali
con il gruppo qaedista Stato islamico dell’Iraq e del Levante.

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