martedì 30 settembre 2014

Intervento in Siria-Iraq: un precedente per la Libia?




All’Assemblea delle Nazioni Unite tenutasi a New York nei giorni scorsi, gran parte dell’attenzione negli interventi dei capi di governo che si sono alternati sul palco è stata dedicata alla minaccia jihadista e all’intervento internazionale contro lo Stato Islamico (IS). 

Ma lo stato islamico non costituisce l’unica minaccia presente nell’area. In Libia, negli ultimi mesi, gran parte del territorio della Cirenaica, l’est del paese, è caduto sotto il controllo di formazioni dichiaratamente jihadiste, in particolare di Ansar al-Sharia. 

Parte della comunità internazionale si sta chiedendo quindi se l’intervento contro IS non possa costituire un precedente per intervenire militarmente in Libia. 

Il paese vive ormai una situazione di anarchia: fazioni di varia astrazione controllano il territorio; le milizie di Misurata, legate alla Fratellanza musulmana, e quelle di Zintan, vicine al partito più secolarista di Mahmud Jibril, continuano a fronteggiarsi in Tripolitania; un generale rinnegato Khalifa Haftar cerca di riprendere il controllo dell’area di Bengasi; il nuovo parlamento eletto nelle ultime elezioni di giugno, e riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale, si è rifugiato a Tobruk, quasi sotto protezione egiziana, mentre le forze islamiste hanno riconvocato il vecchio parlamento a Tripoli, minacciando il pieno controllo della Banca centrale e dei ministeri. 

Si sta creando un consenso politico internazionale sulla Libia?

Nelle ultime settimane a Madrid si è tenuta un’importante conferenza delle potenze regionali coinvolte in Libia. Le conclusioni sembrano aver escluso un eventuale intervento militare straniero ribadendo invece la necessità di “riprendere il dialogo tra le fazioni libiche, ad eccezione di quelle armate”. Anche a New York sono stati compiuti passi importanti per cercare un'unità di intenti della comunità internazionale. Il dipartimento di Stato americano ha organizzato un incontro per discutere sul futuro della Libia, a cui hanno partecipato anche l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, accusati di avere bombardato alcune postazioni islamiste nelle scorse settimane, il Qatar e la Turchia, accusate invece di aiutare gli islamisti. L’incontro si è concluso con un comunicato congiunto per chiedere di cessare le ostilità ed iniziare un dialogo nazionale tra i diversi gruppi. Secondo Arturo Varvelli, Research Fellow dell'ISPI, “questa è l’ultima possibilità per una soluzione pacifica del conflitto in Libia”.

Cosa è Ansar Al-Sharia?

Il Gruppo è stato creato nel 2012 da ex appartenenti a brigate islamiste che avevano combattuto Gheddafi nel 2011. Come spiega Dario Cristiani per ISPI, questo gruppo è attivo soprattutto nella zona di Bengasi e della Cirenaica e combatte contro il tentativo delle truppe fedeli ad Haftar di riconquistare questi territori. È un'organizzazione islamista che opera sia come un classico gruppo terroristico (è accusata dell’omicidio dell’ambasciatore Usa Christopher Stevens) sia tramite assistenza territoriale in sostituzione dello stato libico assente. Eppure non mancano gli indizi di una collaborazione tra Ansar Al Sharia e i gruppi più importanti del terrorismo internazionale. Come spiega Mawassi Lahcen dopo la rottura tra i gruppi di Al Qaeda e l’IS, Al Baghdadi sta cercando di convincere Ansar-Al Sharia a giurare fedeltà al “Califfato”. L’obiettivo è di ottenere un alleato anche in questo territorio, dopo che lo scontro con Al Zawairi ha determinato un allontanamento di Al-Qaeda nel Maghreb dallo Stato Islamico. Ci sono segnali che una limitata collaborazione tra i militanti di IS e Ansar Al Sharia sia già iniziata, nonostante manchi l’approvazione ufficiale dei leader. Sembra che la brigata Al-Battar, composta completamente da ex combattenti libici in IS, stia già operando nella città libica Derna. Questa città è storicamente una delle roccaforti di Ansar Al Sharia e perciò la presenza di questi combattenti “di ritorno” non può che destare più di qualche preoccupazione sui legami tra questo gruppo e l’IS.


La Francia verso un nuovo intervento in Libia?
Intervenendo alle Nazioni Unite il ministro degli esteri francese Laurent Fabius ha accennato alla necessità di risolvere militarmente la minaccia jihadista nell’est e nel sud della Libia. Fabius ha dichiarato che questi gruppi non potranno essere neutralizzati solamente attraverso il processo di riconciliazione nazionale ma che è realistico pensare ad un intervento. Pochi giorni prima il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian era stato ancora più esplicito parlando della necessità di un intervento armato contro le forze terroristiche. L’Italia, pur evidenziando ad ogni occasione internazionale la necessità di una azione coordinata in Libia da parte della comunità internazionale, non ha mai menzionato un’azione militare, limitandosi a richieste di azioni politiche. Renzi ieri ha invitato l’assemblea Onu “a sostenere con determinazione l’avvio di un processo di riconciliazione nazionale, inclusivo e consensuale”.

Che tipologia di intervento?

Alcuni analisti internazionali esperti di Libia si limitano a consigliare un intervento di carattere politico nel paese. Frederick Wehrey del Carnegie Endowment for International Peace pone l’enfasi sulla necessità di implementare un piano concordato con gli attori regionali per una transizione pacifica e di continuare la collaborazione con il governo riconosciuto sull’addestramento di forze militari. Altri hanno pensato ad un intervento militare finalizzato però a contenere e limitare gli scontri tra fazioni. Karim Mezran dell’Atlantic Council sottolinea come l’intervento esterno, sia esso politico o militare, dovrebbe avere una caratterizzazione di neutralità e la finalità di una riconciliazione inclusiva. Wolfgang Pusztai, analista austriaco ed ex-attaché militare in Libia, ha delineato per ISPI l’opportunità e le caratteristiche che potrebbe avere un intervento di peacekeeping nel paese.

Source: ISPI

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